Nozioni generali di politeismo, il substrato

Con il termine "teogonia" intendiamo il mito o l'insieme di miti che giustificano l'esistenza e la discendenza degli dèi. La scelta di narrare una storia che voglia essere parte di un "respiro" letterario maggiore ha comportato l'esigenza di istituire un rapporto genealogico tra divinità. Indubbiamente, disporre un ordine dotato di propria logica sconfina nella cosmogonia e nella ricerca dell'origine dell'uomo, ma ciò è solo consequenziale e, in tutta franchezza, non voluto. Ben lungi dal tentare una dissertazione teologica sulle religioni di cui appresso, scriverò in merito ai culti e alle teorie che hanno influenzato la prassi romanzata di Traversata nelle ere, tratteggiando, un poco alla volta, il suo "cielo".

Paolo Veronese - Sala dell'Olimpo

Veronese, Olimpo, 1560-1561, Maser, Villa Barbaro.

I primi passi sono stati mossi lungo le scivolose strade del politeismo, dove troviamo gli dèi organizzati entro un pantheon, un sistema che, diciamolo subito, non ha, di per sé, aspirazioni universalistiche. Nessuna religione politeista antica si presenta come "religione del libro", delle "verità rivelate" fondamentali. Tratto, questo, tipico invece dell'orientamento religioso di età imperiale romana. I popoli politeisti non separavano nettamente la sfera religiosa dal complesso delle attività umane quotidiane. Per tale ragione, per lo stretto connubio tra reale e soprannaturale nel quale il primo era legittimato dal secondo, quelle religioni antiche non avevano nome. Parliamo di un arco temporale che va dalla fine del IV millennio a.C. e che si conclude con l'editto di Teodosio del 28 febbraio 380, de fide catholica, per mezzo del quale il cristianesimo diveniva religione di stato. L'area geografica interessata si estende dalla Mesopotamia al Mediterraneo, compresa l'Europa centrale e settentrionale. L'America precolombiana meriterebbe un capitolo a parte. "Politeismo" compare allora come sostantivo di origine dotta nella Francia del XVI secolo, opposto di "monoteismo". Il discorso teologico individua come religione politeista quella appartenente a un popolo che abbia acquisito la nozione di "divinità" - o almeno una nozione analoga - e che tale divinità, scomposta in più esseri divini, trascenda la realtà umana. Il modello per eccellenza è quello greco sul quale Filone di Alessandria fondò la sua critica (prima metà del I secolo d.C.). Abbiamo così, come sopra accennato, un sistema unitario, organico, superiore alla sfera terrestre e concepito da divinità immortali. Il pantheon è il prodotto di una condizione di caos che mira e vuole tendere all'ordine. Necessariamente le divinità in oggetto sono "personali", connotate da caratteristiche antropologiche che le rendono simili all'uomo. Sono destinatarie di culti e riti, ma non si tratta di mondi chiusi. La reciproca trasmissione culturale ha consentito una riformulazione costante del patrimonio politeista ed è su tali riplasmazioni che ho soffermato il mio interesse, cercando l'occasione di creare un mondo "nuovo".

Dalle religioni dualiste all'incipit su carta

Il dualismo è religione di due principi conflittuali. Esempi classici sono lo gnosticismo, il manicheismo, lo zoroastrismo. Hanno come caratteristica comune quella di essere sorte su di un terreno religioso monoteistico (anche se per lo zoroastrismo dobbiamo fare un'eccezione). Il problema di queste religioni riguarda quello dell'origine del Male. Esso rappresenta una componente essenziale persino separata da Dio, al quale si evita ogni responsabilità in merito. Il Male viene avvertito come realtà immanente, con una propria consistenza ontologica. Pur preservando allora la concezione unitaria del divino, le religioni dualiste tentano di conciliare un Dio buono ad una entità completamente malvagia, radicale. Questa coesistenza è stata per me il primo spunto.

Raffaello - Zoroastro

Raffaello, Scuola di Atene, 1509-1511, Stanza della Segnatura, Musei Vaticani. Zoroastro, il profeta iranico, ritenuto fondatore dell'Astronomia, viene rappresentato mentre sorregge un globo celeste.

Le vicende del romanzo si svolgono in un mondo che non ha nulla di diverso dal nostro. Potrebbe essere la Terra che conosciamo, eppure ne notiamo subito le differenze con la suddivisione dei territori in Regni, con la presenza di una razza elfica appartenente al retaggio fantastico, e con il susseguirsi di accadimenti sovrumani, simbolici, che tutti derivano da una scissione, da una divisione negativa tra l'umano e il divino. La fenomenologia della gnosi oscilla fra questi due poli: da un lato il senso opprimente di rottura provocato dalla forza del Male; dall'altro l'esigenza di recuperare questa scissione, di porvi rimedio, restaurando l'unità perduta.

Il mito gnostico caratterizza decisamente la teogonia di Traversata nelle ere. Il Sé ontologico, connaturato alla stessa sostanza divina, viene trasmesso dal salvatore/continuatore di una tradizione esoterica che salva chi la riceve. L'adepto illuminato viene iniziato ai misteri della gnosi: concetti pessimistici che permeano l'intera religione. Il creatore del globo, demiurgo ignorante e malvagio, è opposto al Dio buono, inconoscibile se non tramite l'insegnamento della gnosi. La contrapposizione è data dal mondo di tenebre creato dal demiurgo e dal mondo luminoso o pleroma, principio spirituale o pneuma già presente nello gnostico. La materia creata dal demiurgo imprigiona detto pleroma, al cui interno è avvenuto un "incidente". Da tale scintilla ha origine il cosmo e l'uomo. Il demiurgo, con il suo seguito di creature malvagie, ha creato il composto psicofisico in cui è stato soffiato lo pneuma trasmessogli dalla Sophia, la Madre, fornendo così ad ogni uomo la sostanza pneumatica.

Nel primo episodio di Traversata nelle ere ci si accorge di come, in ordine sparso, sopraggiungano nomi di divinità sconosciute che quasi sempre hanno avuto e hanno un ruolo deterministico nell'agire dei protagonisti. Il processo autoredentivo è avviato. Persino questi dèi dovranno confrontarsi con la loro vera natura e origine. Esiste una sostanza infinita, non percepita, informe e ignota che muove le loro ragioni al pari di quelle degli uomini. Questa essenza non conosce determinazioni, non coincide con un "ente", ma lo trascende. Non è principio di alcunché, né padre, né figlio. Esiste in perfetta autosufficienza, almeno fino ad un certo punto.

L' "incidente" di cui si diceva ha permesso l'incipit. La dimenticanza si scopre essere il motore del romanzo. Pagina dopo pagina il lettore realizzerà come tutto sia offuscato da una presenza latente, ma inesorabile, la cui manifestazione si percepisce appena.

Chi è l'adepto illuminato? E quale ruolo ha nello svolgersi della storia? Abbiamo rotto il ghiaccio. Continueremo con la Parte II di questa rubrica... a presto!

 

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